Riflettevo sulla psicosi collettiva generata dal nuovo Coronavirus.
Ho provato a scriverci su un imperfetto haiku.
Un bel virus che
ha messo la corona
sarà despota.
E’ evidente che un’epidemia globale e l’eco che ne riceve dai media azzanni il nostro spirito di sopravvivenza e ci renda schiavi di un fantasma della notte più antica. Il virus in questione in alcuni casi, percentuali molto basse a quanto si sa, potrebbe portarci alla morte.
Ed eccoci qui. Alcuni non partono più e comprano mascherine, altri iniziano a prendersela con chiunque abbia anche solo un fare orientale, altri ancora sono convinti che ci sia un piano preciso organizzato alla perfezione per distruggere la Terra, un altro nutrito numero di persone fa la spola tra le varie notizie del mondo confrontando dati e un altro ancora ignora la cosa perché troppo preso da se stesso.
Non c’è da ridere, mi si dirà. Certo, restiamo seri, però non neghiamoci neppure un riso amaro.
Perché quello che stiamo facendo dice di noi una cosa: siamo già malati. Comportandoci così siamo già tutti malati. Il coronavirus è solo il reagente, l’evidenziatore sulla nostra instabile concezione della vita.
Sembra un po’ di stare in un girone dantesco e il coronavirus sembra essere il contrappasso per non “averci tenuto troppo” alla vita.
Siamo circondati da pericoli da sempre. Da quando abbiamo i pollici opponibili le cose non sono state semplici mai.
Eppure ora, temiamo per la nostra esistenza. Dall’11 settembre in poi non siamo riusciti a conciliare la nostra idea di “vita perfetta e felice” con la realtà. Non sappiamo convivere, vivere con l’inaspettato. E’ come se la difficoltà ad uscire dalla ripetizione di una vita rassicurante in generale ci fosse impossibile.
Siamo in crisi nera e profonda e reagiamo da malati.
Diceva Einstein: “la crisi può essere una vera benedizione per ogni persona perché è proprio la crisi a portare progresso. La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura…”
Non è tanto il vaccino del Coronavirus la soluzione vera per i nostri mali, ma una correzione alla visione che abbiamo del mondo, degli altri e in fondo di noi stessi.
E’ nell’inaspettato che si fissano nuovi ricordi. E’ nell’inatteso che si accende la lampadina delle idee.
Intanto speriamo che ci venga in aiuto una buona dose di accettazione che arrivi nell’istante prima di inciampare nell’errore più grave: decidere di mollare.