Questa mattina ho visto questo post e ho ripensato a ieri sera quando ero al telefono con una madre, per una consulenza. Accade sempre più spesso che alcuni genitori stiano in una zona preoccupante. Quella zona in cui c’è una domanda che aspetta una risposta e insiste, si ripete, tra le righe del quotidiano così complesso oggi. I nostri bambini sono pieni di sintomi non ascoltati, che bonariamente vengono etichettati come “cavolate”, “sciocchezze”, quelli che sono campanelli d’allarme ma alle orecchie di alcune madri si trasformano in miti cinguettii.
Ma a cosa servono queste “cavolate”? A chiedere.
I bambini stanno aspettando che qualcuno, sembra utopia scrivere “un padre”, ascolti, non giustifichi tutto, dica qualcosa, metta un limite, ponga una regola e insegni un saper vivere: che risponda insomma.
La risposta, la parola sincera, rispettosa e ragionata, è una delle soluzioni più potenti. Un vaccino, per stare sul contemporaneo.
Il rispetto citato da questo cartellone sottintende una speranza per il futuro. Cresci tuo figlio e fallo diventare un uomo che rispetta le donne.
Ma come insegnare il rispetto a un figlio quando non lo si è rispettato lì dove occorreva? Il rispetto somiglia ad uno specchio. Non è un caso che sia proprio nella “fase dello specchio” che ciò che il bambino credeva essere uno diventa due. La prima separazione, la prima scoperta, la prima volta che si è riconosciuti come altro dalla madre e quindi si accede ad un’altra categoria, quella dei “potenziali rispettati in quanto persona”. Potenziali, sì, perchè i bambini stanno ancora aspettando. Aspettano una risposta ai comportamenti eccessivi, aspettano l’attenzione, aspettano la regola, il limite da non oltrepassare e intanto chiedono senza sosta. Il primo rispetto parte dall’ascolto di questa domanda. Poi si costruisce il resto.