Quando mi è stato chiesto di scrivere un pezzo sulla “donna” ho accettato con entusiasmo. Era tempo di campagna elettorale e avevo la sensazione che come al solito sulle donne si dicessero sempre le stesse cose e che le famose quote rosa fossero oramai un ritornello per recuperare voti più che una reale convinzione di parità. Immaginavo un pezzo di protesta, qualcosa che smacchiasse i luoghi comuni e li facesse diventare luoghi nuovi.
Poi ci ho ripensato e ho deciso di scrivere queste righe dopo le elezioni che forse sono state semplicemente lo specchio di questo paese fatto di tanti colori e di tanti umori, che ci hanno fatto ridere, piangere, impallidire. Ma non voglio parlare di politica.
Voglio parlare di donne.
Parlare di donne è parlare d’oceano. Come si può davvero parlare di quell’immensa distesa d’acqua senza il timore di tralasciarne un pezzetto fuori e il conseguente senso di colpa di non aver visto proprio lì un pesce fantastico, multicolore e sconosciuto, una rarità?
Il rischio che corro a parlar di donne è quindi quello di generalizzare. E se c’è una cosa che una donna odia sono le generalizzazioni. Ma perchè?
Perchè passiamo una vita intera a costruirci, con cura e attenzione. Perchè inventiamo da sempre, senza esserne neppure troppo consapevoli, una maniera solo nostra di essere donne, arredandoci la mente, il cuore e l’anima come meglio pensiamo. Perchè crediamo nei sogni e ci crederemo per sempre. Ogni donna è dunque un oceano, unica e originale. Lacan dice che “la donna non esiste”. Non esiste un modello, questo intende. Neppure madri e figlie sono identiche, come si può dunque pensare di parlar di donne come se fossero tutte uguali?
Ecco allora che forse le donne non sono tutte uguali ma sono simili, si somigliano in alcuni tratti.
La storia delle donne è nota a tutti, in stato di sottomissione prima e in libera uscita dopo. E’ complicato essere donna e non far cenno di ciò che spesso si legge tra le pagine dei quotidiani, quella parola, quella che sembra distante e fredda perchè racconta la fine e mai l’inizio: femminicidio.
Ci sarebbero pagine e pagine da scrivere riguardo questo triste passaggio epocale al quale stiamo assistendo. Ritengo però sempre utile citare le parole sagge e straordinarie di un uomo. Non uno qualsiasi: Gandhi. “Quando una donna è assalita non può perdere tempo a riflettere su himsa [violenza] o ahimsa [non-violenza]. Il suo compito primario è l’autodifesa. È libera di impiegare qualsiasi metodo o mezzo che le venga in mente pur di difendere il proprio onore. Dio le ha dato unghie e denti.”
Ed è proprio con le unghie e con i denti che alcune donne ce la fanno e fortunatamente non stanno sulle pagine di nessun giornale.
Esiste però qualcosa che accomuna le donne, un sentire, un vedere, un vivere, ma soprattutto un dover fare i conti, sempre e per sempre, con quella cosa sottovalutata e screditata che sono i ruoli.
Ogni donna è chiamata nel corso della sua esistenza a ricoprire molti ruoli. Nasce figlia, affronta due fasi d’amore profondo uno per la madre e uno per il padre, ne esce senza esserne troppo consapevole e con qualche trauma, si innamora o si confonde emotivamente e dopo molti (o pochi) anni diventa moglie oppure resta “single” (dove la singolarità dovrebbe farci riflettere sul concetto di unicità detto prima).
Una donna è quindi figlia, moglie o compagna, o fidanzata temporanea, ma non solo: accade poi ad alcune di diventare madre.
Diventare, non ‘essere’. Scelgo questo verbo perchè l’etimologia di diventare è magnifica: “farsi diverso da ciò che si era”. E la maternità è esattamente questo, un farsi diverse da ciò che si era, un divenire continuo in qualche modo. Un doppio ruolo quindi, si è madri per la società ma si diventa madri tutti i giorni, o forse tutte le volte che una creatura ti interroga su qualcosa.
Questa visione del divenire però spalanca le braccia anche alle donne che non hanno figli.
Perchè quel farsi diverse da ciò che si era è il cammino di tutte le donne, consapevoli o inconsapevoli. Si diventa ogni giorno, si diventa ad ogni caduta, si diventa ad ogni ostacolo, si diventa ad ogni risata, ad ogni lacrima, si diventa ad ogni traguardo raggiunto, si diventa ad ogni delusione, si diventa ogni volta che si abbraccia, che si accarezza, che si bacia, che si fa l’amore. Donne non si nasce, si diventa, traendo spunto dall’humus che ci accoglie e trasformandolo ogni istante in quel mosaico autentico e raro che siamo tutte.
Mi piace pensare però che essendo questo pianeta abitato da donne ma anche da uomini, esista da qualche parte una sorta di equilibrio scritto nel cielo, qualcosa che domina e governa i sentimenti di tutti noi, qualcosa che somigli pressapoco alla frase di Henri de Régnier: le donne sono capaci di tutto, e gli uomini di tutto il resto.
*Questo articolo è stato pubblicato su “Essere UTL” – marzo 2013